Mary Parker Follett su interdipendenza e “potere-con”

La prospettiva di Mary Parker Follett sul potere creativo della collaborazione, su come gestire efficacemente l’interdipendenza e la diversità, e sulla natura dell’influenza e dell’autorità in organizzazioni che sono più relazionali che gerarchiche.

Mary Parker Follett

Mary Parker Follett era un’assistente sociale di inizio XX secolo, che è diventata uno dei primi “guru” del management al mondo.
La sua idea di organizzazioni che operano come reti di team autogestiti ha anticipato il lavoro di altri pionieri della gestione organizzativa – come Elton Mayo, Rensis Likert e Douglas McGregor – di diversi decenni.
Il defunto Warren Bennis, uno dei decani del movimento “Human Relations”, osservò nel 2003 che “quasi tutto ciò che è stato scritto oggi sulla leadership e sulle organizzazioni deriva dagli scritti e dalle conferenze di Mary Parker Follett”.
L’osservazione di Bennis rimane vera anche oggi.
Gli scritti della Follett del 1918 sull’autonomia e la collaborazione di squadra si adatterebbero bene – e sarebbero forse considerati ancora oggi di frontiera – in un nuovo libro “dedicato all’”Agile su larga scala”.

Mary Parker Follett e la costruzione di nuove comunità

M. P. Follett nacque nel 1868 in una famiglia quacchera a Quincy, a sud di Boston, Massachusetts.
Dopo un periodo come insegnante scolastica, la Follett guidò una serie di iniziative civiche per sostenere la crescente popolazione di immigrati di Boston. Tra i suoi risultati più notevoli ci fu la creazione di una rete di Centri Sociali – gruppi di quartiere che si riunivano in edifici scolastici pubblici dopo le ore di lezione, per fornire ai membri della comunità istruzione, crescita personale e attività ricreative (fu il primo caso negli Stati Uniti, poi imitato da altre città). Nel 1914, fino a 7.000 persone a settimana si ritrovavano nei sei centri che la Follett aveva contribuito a stabilire in tutta la città.

L’esperienza della Follett nella costruzione di nuove comunità diede forma al suo pensiero sulle persone e sulle organizzazioni in due modi. In primo luogo, fu colpita dal potere creativo che si scatena quando un gruppo diversificato di individui lavora attraverso un problema condiviso. M. P. Follett visse questo aspetto in prima persona quando riunì funzionari dell’istruzione, filantropi, assistenti sociali e rappresentanti del quartiere per discutere su come rafforzare la vita civile nei quartieri svantaggiati di Boston. La stessa cosa si confermò vera quando i membri dei nuovi Centri Sociali collaborarono per sviluppare una varietà di programmi e attività per la loro comunità locale.

In secondo luogo, la Follett capì che i gruppi potevano essere più che motori di creatività: avevano il potenziale per l’autogestione. Team di volontari in ogni Centro Sociale erano efficaci nella definizione e gestione dei budget, valutando l’efficacia dei loro servizi, e l’individuazione di opportunità di miglioramento, il tutto in assenza di un’autorità top-down e di un’organizzazione formale. La Follett capì che i team con uno scopo condiviso, responsabilità reciproca e pratiche efficaci per il decision-making partecipativo, potevano essere più efficienti della burocrazia nel risolvere problemi difficili da affrontare.

Mary Parker Follett considerò anche i gruppi di autogoverno come un importante motore di sviluppo personale e di una società vivace. Dal momento che “il desiderio di governare la propria vita è, naturalmente, uno dei sentimenti più fondamentali in ogni essere umano”, l’autogoverno facilitava anche “la crescita degli individui e dei gruppi a cui appartenevano.” Una maggiore partecipazione dei lavoratori alla definizione della direzione e dell’ambiente lavorativo poteva rafforzare le basi democratiche di una società. Così immaginò un modello di governance democratica che si basava più su reti di gruppo a livello locale che su istituzioni burocratiche centralizzate:

“L’organizzazione di gruppo creerà il nuovo mondo che ora prefiguriamo un po’ alla cieca, perché la forza creativa viene dal gruppo, e il potere creativo si evolve attraverso l’attività della vita di gruppo.”

L’impatto della Follett sulle comunità locali nel periodo precedente alla prima guerra mondiale provocò l’interesse di leader aziendali progressisti come Henry Dennison, proprietario della Dennison Manufacturing Company, con sede appena fuori Boston. Dennison era desideroso di sperimentare modelli organizzativi più egualitari ed orientati al gruppo, e la Follett era ansiosa di collaborare. Era convinta che le idee sviluppate nel contesto dell’organizzazione di quartiere fossero rilevanti anche per le organizzazioni su larga scala. Dopotutto, le grandi aziende possono essere concepite come reti di gruppi, e le prestazioni organizzative sono il prodotto delle relazioni tra le persone all’interno e tra i gruppi stessi.

Il rapporto con Dennison fu la prima di diverse collaborazioni che Mary Parker Follett ebbe con il mondo degli affari. Durante gli anni venti e i primi anni trenta divenne un’importante consulente e docente accademico.

Ciò che rende il contributo di Mary Parker Follett ancora più notevole è il suo esser stata profondamente controcorrente rispetto all’epoca. Si distinse infatti durante lo zenith del Management Scientifico, in un momento in cui la teoria della leadership del “Grande Uomo” era ampiamente accettata (si potrebbe obiettare che lo è ancora, ma questa è un’altra storia). In un momento in cui il lavoro veniva de-personalizzato, sistematizzato e gestito rigidamente attraverso una catena di comando formale, la Follett offriva una visione radicalmente diversa.

Quello che segue è un riassunto in 5 punti della prospettiva di Mary Parker Follett sul potere creativo della collaborazione, su come gestire efficacemente l’interdipendenza e la diversità, e sulla natura dell’influenza e dell’autorità in organizzazioni che sono più relazionali che gerarchiche.

(M. P. Follett era una scrittrice incredibilmente eloquente, quindi ho incluso diverse citazioni dirette per il vostro piacere di lettura).

 

Il potere creativo della collaborazione

     1. Trattare le relazioni come il motore fondamentale del successo organizzativo

Mary Parker Follett sosteneva che l’impatto collettivo – lavorare verso un obiettivo comune, risolvere problemi condivisi – è un’attività profondamente relazionale:

“Il nostro contributo non ha alcun valore se non è effettivamente collegato ai contributi di tutti gli altri interessati… Il successo dell’ingegneria organizzativa dipende dalla sua capacità di trattare il problema della partecipazione, della relazionalità funzionale. Estrarre le capacità di tutti e poi metterle insieme, questo è il nostro problema.”

I rapporti produttivi tra le persone sono rapporti di reciprocità, sono parte di un processo “circolare” di azione e reazione. Un individuo modella il lavoro della squadra di cui fa parte, e allo stesso tempo la squadra forma il suo modo di lavorare. Questo facilita la crescita sia dell’individuo che del gruppo. Dato questo, tutte le interazioni hanno potenziale e devono essere alimentate:

“Lo spirito cerca la totalità, questo è il motore del progresso sociale; il processo per ottenerlo non funziona aggiungendo sempre di più a noi stessi, ma offrendo sempre di più di noi stessi. Non l’appropriazione, ma il contributo è la legge della crescita.

 

     2. Trasformare la diversità in interdipendenza attraverso la comunità

Secondo la Follett, le inevitabili differenze tra gli esseri umani dovrebbero essere accettate in quanto possono portare a uno scambio più ricco e a soluzioni migliori:

“Invece di chiudere fuori ciò che è diverso, dovremmo accoglierlo perché è diverso e attraverso la sua differenza produrrà un contenuto della vita più ricco.”

La chiave è armonizzare, non omogeneizzare:

“Il nucleo del processo sociale non è la somiglianza… ma l’armonizzazione delle differenze.” 

È solo attraverso un processo di co-creazione, di associazione, in altre parole, di comunità, che otteniamo un allineamento genuino:

L’unità, non l’uniformità, deve essere il nostro obiettivo. Raggiungiamo l’unità solo attraverso la varietà. Le differenze devono essere integrate, non annientate, né assorbite. La differenza disorganizzata, non correlata, significa l’anarchia..”

Sorprendentemente, questo allineamento avviene senza la necessità della gerarchia:

“Lo studio della comunità come processo elimina la gerarchia. Non c’è sopra e sotto. Non possiamo schematizzare gli uomini come oggetti spaziali. Lo studio della comunità come processo ci porterà, credo, non alla mente sovraindividuale, ma alla mente inter-individuale, una concezione completamente diversa.”

 

     3. Gestire l’interdipendenza attraverso un processo di “integrazione”

Come si realizza il processo di armonizzazione o di unificazione della comunità? Mary Parker Follett sosteneva che i membri dei gruppi possono combinare diverse prospettive e coordinare molteplici azioni (quindi raggiungere creatività e controllo) attraverso l’integrazione:

Il potere creativo dell’individuo non appare quando uno domina gli altri, ma quando tutti si uniscono in un insieme di lavoro. Vediamo lo stesso processo nello studio dei gruppi. È un processo vitale ed essenziale. L’esempio più familiare di integrazione come processo sociale è quando due o tre persone si incontrano per decidere su una linea d’azione, e se ne vanno con uno scopo, una volontà comune, che non era posseduta da nessuno quando era venuto alla riunione, ma è il risultato dell’intreccio di tutti.”

In termini pratici, come fanno i gruppi a raggiungere l’integrazione? Gli scritti della Follett indicano quattro passi chiave:

  1. Avere un dialogo aperto al quale tutti partecipino e che esponga il punto di vista di ciascuno su una questione particolare;
  2. Il dialogo stesso può eliminare alcune delle differenze, in quanto l’esposizione a diversi punti di vista può indurre le persone a cambiare idea o a ripensare le loro ipotesi;
  3. Se le differenze permangono, queste sono riconosciute esplicitamente e trattate come un problema condiviso nel gruppo;
  4. I membri lavorano insieme per trovare soluzioni che siano “vincenti”. Ad esempio, facendo concessioni su punti che sono essenziali per una parte ma irrilevanti per gli altri, o combinando competenze e conoscenze individuali per riformulare il problema e sviluppare soluzioni creative che soddisfano le esigenze del gruppo.

La Follett era una pragmatica, e capì che non tutti gli scambi possono portare ad un gioco a somma positiva. Tuttavia sosteneva che questa dovrebbe essere la modalità predefinita per i gruppi al fine di risolvere le differenze e coordinare le attività, dal momento che è quella con la maggiore probabilità di generare l’impegno e l’allineamento genuini:

Se otteniamo solo un compromesso, il conflitto si ripresenterà in qualche altra forma, perché nel compromesso rinunciamo a parte del nostro desiderio, e perché non ci accontenteremo di fermarci lì, a volte cercheremo di realizzare appieno il nostro desiderio. Guardate le controversie industriali, o i dibattiti internazionali, e vedrete quanto spesso questo accade. Solo l’integrazione si stabilizza davvero. Ma per stabilizzazione non intendo nulla di stazionario. Nulla rimane mai fermo.”

Vale a dire, è problematico per i membri del gruppo trovare le soluzioni, e al contempo quelle imposte dall’esterno difficilmente funzionano.

 

     4. Subordinare l’autorità alla capacità di facilitare l’integrazione, sulla base delle conoscenze rispetto ad una situazione specifica

Un team che è in comunità opera con una concezione radicalmente diversa dell’autorità e del potere rispetto a una gerarchia. L’autorità e l’influenza sono il prodotto della capacità di aiutare il gruppo ad essere pienamente integrato:

“La vera autorità, genuina, è il risultato della nostra vita comune. Non nasce dalla separazione delle persone, dalla divisione in due classi, quelle che comandano e quelle che obbediscono. Deriva dalla mescolanza di tutti, del mio lavoro che si inserisce nel vostro e del vostro nel mio. L’autorità è un processo di auto-generazione. Quello di cui il mondo oggi ha maggiormente bisogno è questo processo di controllo delle forze”.

Mary Parker Follett fece la celebre distinzione tra “potere-con” e “potere-su”. Il “potere-con” si genera quando tutti i “poteri” individuali – esperienza, conoscenza, skills – sono combinati tra loro.

Il “potere-con” è un processo relazionale, sempre in corso.

La Follett sosteneva che l’autorità e il potere non sono necessariamente i correlati della posizione lavorativa. Sono invece determinati dalla conoscenza e dalla capacità di portare valore ed esperienza nel contesto di un gruppo:

“L’autorità dovrebbe andare di pari passo con la conoscenza e l’esperienza, vale a dire che l’obbedienza è dovuta a prescindere che si sia su o giù lungo la linea.”

Secondo la Follett, gli ordini non sono dati e non sono personali, il contesto specifico in ogni situazione aiuterà un team ben funzionante a prendere la decisione giusta, considerando tutti gli input pertinenti e le competenze dei membri del team. Il potere dovrebbe essere contingente, un allontanamento radicale della concezione convenzionale che vede il potere come conferito in base alle posizioni:

Una persona non dovrebbe dare ordini ad un’altra persona, ma entrambi dovrebbero accettare di prendere i loro ordini dalla situazione… Il nostro lavoro non è convincere la gente ad obbedire agli ordini, ma inventare metodi con cui possiamo scoprire al meglio l’ordine complessivo di una situazione particolare”.

 

     5. Usare lo scopo condiviso come un “leader invisibile”

L’ultimo elemento è breve, ma essenziale. Un altro motivo per cui lo sforzo collettivo può essere produttivo in assenza di una direzione dall’alto verso il basso e della supervisione è che sia guidato da uno scopo comune.

“I migliori dirigenti mettono chiaramente questo scopo comune davanti al loro gruppo. Mentre la leadership dipende dalla profondità di convinzione e dal potere che derivano da essa, ci deve essere anche la capacità di condividere questa convinzione con gli altri, la capacità di rendere articolato lo scopo. E poi quell’obiettivo comune diventa il “leader”. E credo che stiamo giungendo sempre più ad agire, qualunque siano le nostre teorie, sulla nostra fede nel potere di questo “leader invisibile”. La fedeltà a seguirlo ci dà il più forte legame possibile in termini di unione, stabilisce una simpatia che non è sentimentale, ma una simpatia dinamica”.

Per Mary Parker Follett, il lavoro efficace è profondamente relazionale. Dipende dalla fusione di diverse competenze e prospettive. Non cerca di minimizzare l’interdipendenza, ma piuttosto di integrarla. Conferisce influenza e autorità a coloro che possono massimizzare l’impatto collettivo in qualsiasi momento, indipendentemente da ruoli e credenziali. Genera impegno e controllo attraverso uno scopo condiviso, al contrario della supervisione.

Questi attributi descrivono in modo appropriato come il valore e il significato vengono creati nei posti di lavoro del XXI secolo. È davvero incredibile che la Follett li abbia messi in pratica all’alba del XX.

E’ inoltre emozionante vedere una linea diretta tra le idee della Follett e la filosofia della gestione e delle pratiche dell’avanguardia post-burocratica che caratterizzano Humanocracy. Non sarebbe affatto sorpresa dal successo di organizzazioni come Nucor, Buurtzorg e Morning Star.

Il messaggio di Mary Parker Follett merita di essere ascoltato, ora più che mai. Spero che vi unirete a me nel diffonderlo.

I nostri libri

Humanocracy
Lavori appassionanti, organizzazioni resilienti, zero burocrazia

27.55

Community
Dalla frammentazione alla connessione

24.70