Premere inoltra su quel curriculum mai inviato

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Il lavoro cambia. E servono nuove parole per raccontarlo.
Perché ogni cambiamento è una rivoluzione lessicale.
Una rivoluzione a cui servono linguaggi e infrastrutture mentali nuovi.

Stiamo parlando del nostro lavoro, non di statistiche.
Quello che conosciamo meglio di chiunque, perché l’abbiamo fatto noi.
Quello che raccontiamo a noi stessi per primi.

Farlo entrare in una pagina, con gesta eroiche e complicate è sempre più difficile.
Ad oggi la forma letteraria in uso – il cv – prevede(va) un titolo, una storia in sequenza, e un finale.
Ed ora:

  • il primo è troppo piccolo e breve per racchiudere tutte le nostre vite professionali;
  • la sequenza non può più essere così lineare;
  • e che dire del finale: ci sarà mai un finale?

Eppure, fino ad oggi l’abbiamo classificato così, dopo ogni piccolo o grande cambiamento.
Con una piccola etichetta definitiva sulla testa.
Che racchiudeva tutto.

Ma una parola per definire il lavoro non basta più.
Forse non è mai stato giusto chiuderlo tutto dentro lì.
Ed ora non è più nemmeno utile.

E non ha più senso.
Perché facciamo più lavori contemporaneamente.
Perché usiamo e sviluppiamo più abilità contemporaneamente.

Oggi viviamo la carriera come una costellazione di pianeti.
Con una grande fonte di luce che ci motiva e li illumina, e che qualcuno chiama purpose.
Con uno spazio infinito in cui muoverci e scoprire cose nuove.

E ogni volta, ad ogni inizio, c’è una forza gravitazionale fortissima.
Che ci porta a nuova esperienza.
Che dà forma a nuove abilità e competenze.

Un portfolio di carriere non consiste nel fare una cosa per molti anni, sbattere contro un muro e poi chiedersi cosa fare dopo, ma contiene moltitudini: di possibilità, di combinazioni, di opportunità.

Lo scrive April Rinne nel libro Flux. E centra una necessità recentissima.
Quella di raccontarsi e raccontare il lavoro non più come un percorso da seguire.
Ma un portfolio da curare.

Ed è il momento giusto per imparare a farlo.
Perché i cambiamenti professionali frequenti sono ormai una certezza.
Perché l’ignoto nel lavoro è diventata una costante.

Scrivere della propria strada professionale ha così un valore maieutico.
Ci aiuta a capire cosa facciamo davvero.
Qual è il motore di tutte le esperienze e le competenze vissute, toccate, catturate.

Non è un’operazione di marketing personale.
Ma un modo intelligente per concepire il lavoro come una storia in divenire.
E per questo da fissare su un diario personale, da curare ogni giorno.

Imparando a catturarne funzioni, capacità e ruoli. Argomenti appresi e poteri sviluppati.
E tutti quelle sensibilità acquisite e mai messe in un curriculum.
Ma che sappiamo di avere e non abbiamo mai pensato di raccontare.

È arrivato il momento di premere inoltra su quel curriculum mai inviato.
Sappiamo che c’è. Ed è quello che raccontiamo davvero a noi stessi.
Quello in cui i protagonisti del cambiamento, alla fine, siamo sempre noi.

 

Antonio Belloni

I nostri libri

Flux
Vivere il cambiamento, non subirlo.

22.80