Banane e organizzazioni

banane

Ti piacciono le banane?

Se si, quale tipo preferisci?

Hai notato che il fruttivendolo non ti chiede mai che tipo di banana vuoi?
Basta dire che vuoi delle banane.
Stessa cosa al supermercato.
Tutte le banane hanno lo stesso aspetto.

Questo perché tutte, o quasi, le banane che si trovano nei supermercati provengono da alberi che sono in realtà cloni l’uno dell’altro.

In realtà al mondo esistono più di 1.000 tipi diversi di banane.
Molti, però, hanno semi grandi che li rendono quasi immangiabili.
Altre banane son troppo piccole o hanno la buccia troppo grossa.

Inoltre, tutte queste differenze non sono adatte al commercio.
La gente vuole la banana e basta.
E produttori e commercianti apprezzano molto uniformità, prevedibilità e consistenza.

E così, i produttori sono riusciti ad addomesticare le banane per ottenere frutti con semi più piccoli e quindi più apprezzati dal mercato.

E visto che c’erano, hanno anche creato cloni geneticamente identici delle piante che producono frutti uniformi.
Tutti felici e contenti. Per un po’ almeno.

Infatti, poiché tutte le piante sono cloni, sono anche più suscettibili alle malattie.
O meglio, una malattia che dovesse evolvere per colpire una pianta di banana, ha gioco facile con tutte le altre.
Essendo cloni, sa già cose fare.

E così è successo, infatti.

Nel 1890 una malattia colpì con danni ingenti le coltivazioni di banane in tutto il mondo.
All’inizio del 1900, i ricercatori svilupparono una nuova banana resistente alle malattie note: la banana Cavendish che ben conosciamo e che oggi trovi in tutti i negozi di alimentari.

Almeno fino a quando una nuova malattia non costringerà i produttori a trovare o creare una nuova varietà.

Quando ho letto la storia della banana in questo ottimo articolo su un sito di alimentazione sostenibile ho subito pensato alle tensioni che vivono molte aziende.

Da un lato, per migliorare produttività ed efficienza, cercano di creare uniformità, prevedibilità e consistenza.
Tuttavia, come dimostra la storia delle banane, esagerare in questa direzione porta l’azienda a focalizzare tutta la propria attenzione sulle similitudini ignorando l’unicità dell’individuo.

Così facendo si perdono varietà e possibilità.
Inoltre espone l’intero ecosistema organizzativo al rischio di essere spazzato via da un’anomalia.
L’organizzazione insomma, diventa più efficiente ma anche più fragile.

Dall’altro lato c’è la voglia di valorizzare le unicità. In fondo, siamo tutti diversi.
Siamo tutti motivati da cose diverse, amiamo lavorare in modi diversi e ci esprimiamo in modo diverso.
Questa varietà può creare tensioni e frizioni all’interno di un’organizzazione.

Inoltre aumenta il livello di imprevedibilità, che può generare ulteriori tensioni quando ci sono obiettivi da raggiungere.
Se accolte ed esplorate queste tensioni possono sviluppare resilienza, adattabilità e grandi slanci creativi.
Ignorate portano al logoramento e alla rottura da dentro.

Qual’è la soluzione quindi?

Lo dico subito, secondo me non c’è.
O almeno, non c’è la soluzione che va bene per tutti.
Dipende da mille fattori, interni ed esterni.

Ma soprattutto, non sono due strade mutuamente esclusive.
Io credo sia invece quella che Barry Johnson definisce una polarità.
Cioè una situazione in cui c’è verità e saggezza da entrambi i lati, o poli appunto.

E le polarità, ci insegna Johnson, non si risolvono ma si navigano.
Nel mentoring e nella facilitazione mi confronto spesso con questa polarità.

Ho imparato che le nostre similitudini ci uniscono, ma è attraverso le nostre differenze che cresciamo.
Navigare questa polarità è per me essenziale.

Se punto solo sulle similitudini, la relazione diventa efficiente ma sterile, finché si spegne.
Se investo solo sulle diversità diventa creativa ma sfibrante, finché si rompe.
E quindi navigo.

Uso le unicità per liberare dalla trappola dell’uniformità e diventare meno prevedibili.
E le similitudini per convergere e portare a manifestazione evitando di cedere al chaos.

 

Fabio Salvadori

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