Per un capo migliore
Benedetto sia l’anonimato.
Che salva quando si rendono pubblici sondaggi spinosi, dai lati negativi dei compagni di vita ai superiori in ufficio.
Zippia – società di ricruitment e sviluppo di carriera – ha interrogato duemila dipendenti sui peggiori difetti di un capo.
Cattivo carattere, ingratitudine e non-empatia… irritano, ma c’è di peggio.
Il podio dell’insopportabile spetta al micromanagement, l’atteggiamento del dirigente che alita sul collo del dipendente per sorvegliarlo e dirgli come dovrebbe lavorare.
Mentre il secondo dei difetti è il ‘non esserci’, ‘non essere disponibile’.
Il dipendente vuole un capo che sia presente senza essere invadente: che risponda ai propri messaggi, ma senza assillare.
Un lavoratore felice è ascoltato e non tormentato: il suo capo dovrebbe tenere la porta quasi sempre aperta, come quella delle chiese.
Ma senza eccedere in prediche e fare un atto di fede rispetto al lavoro che gli ha affidato.
Il boss peggiore sarebbe quindi quello che non ha mezze misure: o non c’è o c’è troppo.
Come un marito che salta da una trasferta all’altra, o quello che abbraccia lo smart working permanente.
Ma il punto di vista si può anche ribaltare.
Osservando dal lato del boss, il buon dipendente – oltre a non lamentarsi di lui – allora è quello che è sufficientemente autonomo da sapersela cavare, tipo la volta in cui ti si fora la gomma in autostrada… e poi è un tipo scrupoloso che lo tiene sempre aggiornato, più efficiente della frequenza radio sul traffico in autostrada.
Basta un niente a scomporre il delicato equilibrio di un buon rapporto tra i due, tenuto poi conto che il capo (di un’azienda, o anche solo di un team) è uno solo, mentre i collaboratori sotto di lui sono numerosi, quindi ciascuno con sensibilità e parametri diversi.
Per migliorare il clima aziendale partendo da un’abitudine standard, si potrebbe iniziare a fissare un orario di ricevimento, per il boss ma anche per il dipendente.
Un po’ come si fa per i colloqui a scuola. Non a caso è stato detto che “l’educazione è la madre della leadership” (Wendell Willkie, politico statunitense).
Ma deve giocarsi in prima persona e in un contesto di aperta fiducia – stavolta – senza anonimato.
Marcella Manghi