Cosa succede quando il tuo capo scopre la legge di Parkinson.
È accaduto quasi un anno fa.
Riunione del primo venerdì del mese…
Attorno al tavolo delle decisioni, per quasi un’ora si è discusso del tipo di bustine di zucchero da accompagnare alla macchinetta (bianco, di canna, dietetico, colorato, da bannare); a seguire, la questione sull’investimento per l’acquisizione di altri centocinquanta metri per ampliare l’ufficio ha preso poco meno di quindici minuti.
Terminato tutto, mi sono detta: la barbabietola fa parlare più del mattone.
Siamo più nutrizionisti che immobiliaristi, perché – diciamocelo – è più facile improvvisarsi dietologi che ingegneri.
Invece il mio capo vi ha letto la storica Legge di Parkinson: il tempo speso ad ogni punto all’ordine del giorno sarà inversamente proporzionale alla somma in questione.
Spesso è così: il tempo dedicato a qualsiasi tema in agenda è inversamente proporzionale alla sua importanza.
Tuttavia, essendo il mio capo un gran sostenitore del dibattito e del confronto, per ovviare all’inghippo, la volta dopo ha eliminato la voce ‘costo’ dai temi da discutere.
Pensava così che ogni argomento potesse essere esaminato in maniera ampia e democratica.
Il risultato è che alla riunione successiva, la maggior parte degli impiegati ha preteso fior di chiarimenti e avanzato pretese sugli investimenti accantonati per la formazione professionale a carico del datore (ex post, si trattava di un bel gruzzolo).
A quel punto il gran direttore ci ha ripensato.
Da allora è tornato a stilare un elenco di argomenti in ordine di importanza e di somme coinvolte, nella speranza di riportare il dibattito elettorale su temi meno scottanti come il colore del pay-off da mettere sotto il logo aziendale.
La legge di Parkinson: allo scorrere del tempo non c’è scampo.
La Legge di Parkinson ha anche un altro risvolto: il lavoro si dilata in modo da riempire il tempo limite per il suo completamento.
Ossia, se il tempo a disposizione per terminare una determinata attività è più lungo del necessario, il ritmo sarà rallentato per saturare il tempo assegnato.
Del resto, chiunque stamattina si è concesso una doccia da venti minuti sa che ci si può lavare tranquillamente in cinque.
Qualcuno su ai piani alti se ne è accorto e – per evitare perdite di tempo – ha pensato di accorciare le scadenze, affettando le tempistiche come julienne di carote.
Le settimane sono diventate giorni e il limite del fine settimana per le consegne dei report è sparito: ‘mercoledì entro mezzogiorno’ è diventato il new ‘entro venerdì’.
A rincarare la dose si sono assegnati lavori all’ultimo minuto.
‘Per quando vuole completato il draft di progetto?’ chiede il quadro.
‘Entro ieri!’ risponde il manager.
Risultati disastrosi.
Il meglio è nemico del bene – disse Voltaire – ma possiamo affermare ‘candidamente’ che anche la fretta non scherza.
Morale, anche i capi si sono arresi: allo scorrere del tempo e alle leggi di Parkinson non c’è scampo.
di Marcella Manghi