Che metafore usi?

metafore

“Le metafore hanno la capacità di contenere la maggior quantità di verità nel minor spazio possibile.” — Orson Scott Card, autore di fantascienza e fantasy.

Dal punto di vista linguistico, la metafora è “una figura retorica che consiste nella sostituzione di un termine con un altro secondo analogia, rispetto a cui è sottintesa una similitudine.”

La metafora permette di arricchire il pensiero a livello lessicale, semantico, ed espressivo ricombinando elementi noti.

Tecnicamente, quella di cui parla Orson Scott Card è più probabilmente l’allegoria, spesso definita anche “metafora continuata”. L’allegoria permette di esprimere un concetto astratto e spesso sfuggente attraverso immagini concrete.

Uscendo dall’ambito linguistico e allargando la prospettiva, possiamo pensare alla metafora come a un collegamento.
Un filo che unisce due concetti.

Uno in genere complesso e difficile da comprendere, l’altro più semplice ed immediato.
La metafora è insomma uno strumento molto potente ed efficace per spiegare cose complesse.

Ci permette di racchiudere qualcosa di sfuggente e complesso come la nostra esperienza della realtà in una forma che può essere compresa, condivisa e comunicata più facilmente.

Le metafore insomma, sono potenti. Ma sono anche insidiose.

Joseph Campbell – altro scrittore, famoso per aver reso popolare il modello del monomito o viaggio dell’eroe – scrive, “ogni religione è vera in un modo o nell’altro. È vera se intesa in senso metaforico. Ma quando rimane bloccata nelle sue stesse metafore, interpretandole come fatti, allora siamo nei guai.”

Quando ci innamoriamo delle nostre metafore infatti, finiamo col confonderle con la realtà e rimaniamo intrappolati in un modo di pensare e vedere le cose semplificato. E questo può essere un bel problema.

Recentemente le neuroscienze hanno infatti confermato ciò che molti mistici e filosofi dicono da sempre, e cioè che quello che percepiamo come realtà sono solo storie che il nostro cervello crea per noi.

E poiché su queste storie basiamo le nostre scelte e azioni, esse non si limitano a influenzare la nostra esperienza della realtà, ma la modellano attivamente.

Non ci limitiamo a percepire passivamente il mondo, ma lo generiamo attivamente. Il mondo di cui facciamo esperienza proviene tanto, se non di più, dall’interno quanto dall’esterno. – dal discorso TED di Anil Seth.

È chiaro quindi che se ci innamoriamo di una metafora al punto da prenderla come un fatto, le nostre scelte e azioni risulteranno limitate dalla metafora stessa, riducendo la nostra capacità di rispondere efficacemente alla complessità della realtà in cui ci muoviamo.

Pensiamo ad esempio alle metafore che usiamo per descrivere le nostre organizzazioni.
Qualcuno vede l’organizzazione come un branco, altri come un esercito, una macchina, una famiglia, o un organismo.

La metafora con cui definiamo e osserviamo la nostra organizzazione, definisce cosa riteniamo possibile ed impossibile, come ci muoviamo e relazioniamo con gli altri, sia dentro che fuori dall’organizzazione.

Quando la realtà si appiattisce sulla metafora, ogni possibilità di cambiamento, adattamento ed evoluzione risulta ridotta, limitata quando non interamente negata. Qualunque sia la metafora.

Che fare quindi?

Il primo passo è riconoscere le metafore che stiamo usando e diventare consapevoli dei loro limiti.

A quel punto, possiamo iniziare a sottrarre i condizionamenti, le storie e le assunzioni che ogni metafora porta con se, per allargare il nostro campo visivo e far emergere nuove storie e con esse nuovi modi di operare e creare impatto.

Qual’è la prima metafora che ti viene in mente quando pensi alla tua organizzazione?

 

Fabio Salvadori

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