Chi ben domanda è a metà dell’opera

domande

Le domande suscitano risposte a loro somiglianza. Le risposte si elevano o abbassano rispecchiando le domande che devono soddisfare.
— da Becoming Wise: An Inquiry Into the Mystery and Art of Living di Krista Tippett

Giocando e sperimentando con l’intelligenza artificiale, e osservando e partecipando alle conversazioni sul suo impatto mi sono reso conto che sapere fare domande sta diventando tanto se non più importante di saper dare risposte.

Anche perché, di queste ultime si occupa, appunto, l’intelligenza artificiale.

A dire il vero, saper fare domande è sempre stato importante.

Ogni esplorazione inizia con una domanda, mai con una risposta.

Poiché la creatività raramente inizia con una risposta, le domande di scoperta dovrebbero quindi condurci verso l’ignoto.
— da The way of nowhere

Solo che poi, il valore si manifesta nella risposta.

Non per nulla fin dalla scuola viene premiato chi è bravo a rispondere, meno chi è curioso e fa domande.

Una buona domanda non da voti, un buona risposta sì.

E così, in una società focalizzata su efficienza e produttività, elogiamo la capacità di fare domande ma premiamo di più quella di dare risposte.

Con la diffusione dell’intelligenza artificiale, pare che saper dare risposte stia perdendo valore e centralità mentre stiamo riscoprendo l’importanza di saper fare buone domande.
O scrivere buoni “prompt” come dicono quelli bravi.

L’arte di fare domande fa parte del bagaglio di ogni coach e mentor.

Una domanda ben fatta o potente, fa emergere nuove informazioni, attiva prospettive diverse, allarga lo sguardo, porta l’attenzione verso territori inesplorati permettendo di vedere nuove possibilità.

Non esiste una formula sicura per fare una buona domanda.

Nelle relazioni fra persone, la qualità delle domande dipende prima di tutto dalla qualità dell’ascolto e dal nostro intento.

Questo secondo aspetto, in particolare, è essenziale anche se stiamo facendo una domanda ad un software, più o meno intelligente. L’intento è “il fine che ci si propone di raggiungere e a cui tende l’azione.”

Qualunque nostra scelta, parola o azione riflette un intento.
Anche le nostre domande.
Se il nostro intento non ci è chiaro, le nostre domande emergono incerte e confuse.

E quindi porteranno molto probabilmente a risposte insoddisfacenti.

Più il nostro intento ci è chiaro, più sarà efficace la nostra domanda.

Quindi il punto di partenza è sapere cosa vogliamo sapere o ottenere.

Con questa chiarezza, la maggior parte del lavoro è fatta.

Ma potrebbe essere utile prendere spunto proprio dal coaching e dal mentoring per alcuni consigli pratici su come migliorare le nostre domande, sia verso le macchine che verso le persone.

La semplicità premia sempre. Fare una domanda sola, possibilmente breve, senza orpelli, decorazioni o preamboli.
Andare dritti al punto evitando di usare la domanda per riflettere su cosa vogliamo chiedere.

Aprire e dare aria. Le domande aperte sono quelle che stimolano una risposta elaborata, che invitano all’esplorazione.
Se la domanda prevede un sì/no come risposta o la semplice conferma di una tesi, è una domanda chiusa.
Certo, se stiamo parlando con un software, magari quello che cerchiamo è proprio una conferma o una risposta netta.

Ma se vogliamo far emergere il potenziale dell’intelligenza artificiale non chiediamo, ad esempio, se una certa cosa si può fare ma come si può fare o meglio ancora come posso ottenere un certo risultato.

Le soluzioni son meglio dei problemi. Conoscere meglio il problema è sicuramente utile, ma la soluzione lo è ancora di più.
Il nostro obiettivo è di portare la conversazione verso le soluzioni o le possibilità anziché soffermarsi sul problema.
Ad esempio, anziché chiedere cosa non funziona in una data situazione posso chiedere come posso farla funzionare meglio.

Avanti tutta. Come mi ha detto una volta una cara amica, “se guidi con gli occhi fissi sullo specchietto retrovisore, prima o poi finisci nel fosso.”
Analizzare il passato è sicuramente utile per capire il presente ma spesso non è sufficiente per aiutarci a migliorare il futuro.

Le nostre domande, o i nostri prompt, dopo qualche sguardo veloce al passato, dovrebbero essere orientati ad immaginare il futuro, a ciò che ancora non sappiamo.

Magari imparando dalla mente umana che elabora continuamente ipotesi. Facciamo ipotesi assurde chiedendo all’intelligenza artificiale di esplorarle.

Quali altre idee avete per fare delle buone domande all’intelligenza artificiale?

Magari lo chiedo a ChatGPT.

 

Fabio Salvadori

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